Parlare in pubblico è una performance e pertanto è soggetta ad ansia da prestazione.
Con questo articolo voglio aprire una piccola rubrica in cui intervisto personaggi che hanno (o hanno avuto) a che fare con performance di alto livello, per sapere come fanno a gestire l’ansia da prestazione.
Ti propongo un’intervista al campione olimpico di canottaggio Rossano Galtarossa che ho avuto il piacere di conoscere qualche tempo fa.
Rossano è stato un canottiere che ha partecipato a ben 6 olimpiadi, da Barcellona 1992 a Londra 2016. Ha indossato la casacca della nazionale per 22 anni e conquistato numerosi allori, tra i quali spiccano un oro olimpico a Sidney 2000 e 5 ori mondiali.
Attualmente è il direttore della Canottieri Padova e si occupa della gestione del centro sportivo a 360°, dalla gestione del personale alla logistica.
Buona lettura!
Le ore che precedono una gara sono pericolose, perchè la testa vorrebbe sapere già cosa succederà dopo e questo rischia di diventare un momento ansiogeno. Mi è capitato prima di alcune finali di pensare già al dopo, magari anche alle meritate vacanze dopo un lungo periodo di duro lavoro. Ma era solo un modo strano in cui la testa cercava di bypassare la pressione del momento.
Sono un altro momento pericoloso perché hai un sacco di tempo libero. Infatti, quando manca molto a una gara ci si allena duramente per molte ore al giorno. In prossimità della competizione, invece, c’è il momento di massimo stacco e quindi magari ti alleni effettivamente un paio d’ore al giorno o anche meno e poi hai tutta la giornata libera a disposizione. C’è così il rischio che la testa si metta a pensare a tutte le possibili incognite e i possibili ostacoli che potresti incontrare durante la gara creando ansia da prestazione.
Io per occupare il tempo e non pensare leggevo tantissimo, prima libri cartacei, poi ho iniziato a usare un e-reader. Ci sono delle foto che mi ritraggono già in divisa da gara, con in mano un libro e un timer che segnalava il momento in cui avrei dovuto smettere di leggere e iniziare il riscaldamento. Questo mi consentiva di non sciupare energie mentali.
Quando si fa una gara i momenti difficili sono due: uno di questi è l’inizio, la partenza, il momento che io definisco “la prima palata”. Nel mio sport in ogni gara ci sono circa 240 palate da fare. Se cominci a pensare a cosa devi fare per tutta la gara è un disastro. Così, finchè aspettavo il semaforo verde, mi concentravo esclusivamente su come dovevo fare la prima palata. Se viene fatta bene la prima palata ci sono buone probabilità che anche le successive siano buone, mentre se è fatta male, sicuramente si sbagliano anche quelle dopo.
Durante lo svolgimento, invece, un momento difficile è sicuramente il metà gara, in cui il tuo fisico prova sensazioni sgradevoli perché cominci ad accusare la fatica e quindi ti spunta una vocina che ti dice che non ce la farai. Con l’esperienza si dovrebbe imparare a non ascoltare questa voce, ma non sempre è facile, perché per quanto tu sia preparato ed esperto hai sempre il dubbio che quella volta potresti non farcela.
Bisogna avere la forza di non mollare, di dirsi di provare ancora qualche altra palata prima di cedere e magari proprio quelle due palate in più ti danno la spinta per continuare e ti fanno rendere conto che puoi tenere botta ancora un po’. Poi quando arrivi in prossimità del traguardo, il calore del pubblico ti fa trovare forze inaspettate e vai avanti quasi senza rendertene conto.
Premesso che certe ferite sono difficili da cancellare e alcune non si cancellano proprio, se ti ripresenti ai blocchi di partenza dopo una sconfitta, significa che hai trovato la voglia di reagire. Se non sei uno sprovveduto hai avuto modo di analizzare la sconfitta, capire che sono stati commessi errori, da te o dal tuo staff, e hai cercato di porvi rimedio.
Ricordo Atlanta ’96, dove eravamo i favoriti, arrivando da due titoli mondiali consecutivi. Convinti di vincere siamo invece arrivati quarti. Volevo mollare tutto ma ho deciso di continuare e all’olimpiade successiva devo ammettere che in semifinale, quando abbiamo avuto un momento di difficoltà, ho ripensato alla sconfitta di 4 anni prima e la sentivo ancora presente che bruciava.
E’ un’ansia che si aggiunge all’ansia da prestazione che normalmente già c’è, perché alimentata, oltre che da te, anche dagli altri. A Pechino 2008 per esempio io sono arrivato a 36 anni, per cui forse “vecchio” per una disciplina come la mia. Ma l’ho presa come una sfida con me stesso, in quanto ero visto dagli altri come il leader dell’equipaggio. Il che era un onore ma anche un onere. Quindi avevo, oltre alla mia ansia, anche la responsabilità di dover guidare i miei compagni e la pressione di chi mi seguiva. Tieni presente che nel 2008, tra l’altro, cominciavano a esserci anche i social.
Una sera è scattato qualcosa che mi ha fatto pensare che tutto questo non doveva essere fonte di ansia bensì di coraggio. Ho cominciato a pensare che se così tante persone riponevano la loro fiducia in me, forse delle capacità ce le avevo e le dovevo tirare fuori. E questo pensiero mi ha tolto molte preoccupazioni.
Nello sport dovresti mantenere i punti di forza ed essere consapevole dei tuoi punti di debolezza. Su questi devi lavorare cercando di ridurli se non addirittura di eliminarli. Poi nel preparare la gara devi cercare delle strategie per fare in modo che i tuoi punti deboli non emergano e vadano a vanificare i tuoi punti di forza.
Diciamo che dipende da come si analizzano entrambe le prestazioni. Di solito la vittoria evidenzia il buon lavoro svolto, ma si può vincere anche per demerito altrui. Così come si può perdere pur avendo fatto tutto il possibile, solo che, semplicemente, gli altri erano più forti. Purtroppo nel mondo attuale si tende a valorizzare solo chi vince a prescindere dalla prestazione che ha fatto.
A seguito comunque di un risultato che non rispetti le nostre attese va fatta un autoanalisi molto forte. Io dopo aver vinto le olimpiadi ho potuto scegliere se smettere, visto che avevo raggiunto il massimo, o continuare. Scegliere di continuare significava alzare l’asticella, sapendo che avrei avuto più da perdere che altro. L’olimpiade successiva siamo arrivati terzi, ma solo perché in quella gara ho avuto di fronte avversari più in gamba di me. Io comunque sono stato soddisfatto del mio risultato e della prestazione.
Io sono sempre stato un timidone e quand’ero a scuola diventavo viola se dovevo parlare. Ora invece ho scoperto che parlare in pubblico è una cosa che mi piace. Ma come in una gara, quando so che avrò tante persone ad ascoltarmi, do molta importanza alla preparazione dell’intervento. Se sei preparato puoi concentrarti sul cercare di interessare, divertire, coinvolgere la tua platea. Quantomeno non farla annoiare.
Negli anni ho avuto la possibilità di essere invitato a un buon numero di convegni e faccio anche attività di formazione, parlando sia a platee ridotte che a pubblici numerosi.
Dopo aver partecipato a vari contesti di una noia mortale mi sono ripromesso di fare in modo che al pubblico resti sempre qualcosa di quello che ho detto. Così cerco di lasciare una parola o una frase che possano in qualche modo colpire o diventare uno spunto di riflessione interessante.
Io ho un carattere competitivo e quindi ho sempre bisogno di nuove sfide. Anche per questo ho accettato di fare il dirigente e non l’allenatore. Così nel mio nuovo lavoro cerco sempre di avere delle sfide da affrontare. Se poi mi si presenta un problema in cui qualcuno mi dice “non c’è soluzione” oppure “questa cosa non si può fare”, allora scatta la mia voglia di riuscire a scardinare i punti di vista pessimisti e mettermi ancora una volta alla prova!
Grazie Rossano per i numerosi spunti di riflessione, in particolare per aver sottolineato l’importanza della preparazione e la voglia di mettersi sempre in gioco.